Donald Trump a Tim Cook: produce iPhone ed iPad negli Stati Uniti
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Non accennano a spegnersi le polemiche scaturite in seguito al discusso articolo del New York Times sulle penose condizioni di lavoro degli operai Foxconn, il partner asiatico di Cupertino e di molte altre multinazionali. E a soffiare ulteriormente sul fuoco questa volta non è Barack Obama ma nientemeno che Donald Trump, il magnate repubblicano che nel 2008 aveva spalleggiato John McCain e che aveva persino ventilato l’ipotesi di candidarsi alle presidenziali di quest’anno. L’invito è quanto mai azzeccato in tempi di crisi: tornate a produrre qui.
Parlando a Fox News, non senza un accenno di lirica repubblicana, Trump si rivolge direttamente all’attuale CEO di Apple Tim Cook:
Non sarebbe grandioso se il nuovo leader di Apple dicesse che stanno per costruire impianti negli Stati Uniti? Forse non esistono incentivi a riguardo, ma è molto triste sapere che il 100% di tutti i prodotti Apple -o virtualmente il 100%- sono assemblati fuori da questo paese.
E il paragone è con Intel, i cui modernissimi impianti produttivi ad alto grado d’automazione forniscono ai dipendenti condizioni di lavoro più che decorose e salari adeguati agli standard occidentali; una bella differenza rispetto alla forza bruta di migliaia di operai cinesi sottopagati. Per carità, costerà sicuramente meno che investire in efficienza e tecnologie all’avanguardia, ma il discorso qui non regge sulle zampe della convenienza: parliamo piuttosto di etica, ovvero di un’impostazione deontologica -simile a quella di medici e avvocati- che è andata perduta tra le scorciatoie degli imprenditori e un mondo finanziario pericolosamente ipertrofico.
Il discorso è quanto mai semplice, ed è curioso -o indicativo dei nostri tempi- che coincida grossomodo con le recenti dichiarazioni di Obama:
Smettiamola di premiare le società che portano lavori oltreoceano; premiamo le nostre società che investono e creano lavoro proprio qui negli Stati Uniti d’America. […] Abbiamo la grande opportunità di riportare la produzione dell’industria high-tech qui negli Stati Uniti e riprenderci un po’ di quel lavoro finito oltre oceano, ma dobbiamo cogliere l’attimo.
E così, da una parte democratici e repubblicani chiedono con una sola voce di ridare spolvero al marchio “made in USA”, e dall’altra si sperticano in elogi su Jobs e Apple, che della delocalizzazione selvaggia hanno fatto il proprio mantra. Amabilmente incoerente, ma tant’è.